domenica 15 gennaio 2012

Ancora sullo spettacolo blasfemo e la libertà di espressione

Se i cattolici si mobilitano, i risultati si ottengono.
Lo dimostrò l'impegno in occasione del referendum sulla legge in tema di procreazione medicalmente assistita.
Lo dimostra oggi la mobilitazione contro lo spettacolo blasfemo: a) il regista e il teatro tentano ora di dire che dell'evento potrebbe darsi anche una interpretazione cristiana e si affannano a voler convincere l'opinione pubblica sull'assenza di intenti offensivi; b) il teatro annuncia che potrebbe essere tagliata la scena finale, disgustosa, in cui il Volto di Gesù - che è l'attesa di tutta la vita di ogni cristiano di tutti i tempi - viene oltraggiato.

Sul punto a). Ma una dichiarata "intenzione" vale a togliere l'offesa? Vale a screditare la sacrosanta mobilitazione dei cattolici? No, in alcun modo. Men che meno per il diritto.

Il diritto, infatti, valuta il significato sociale di un fatto e prescinde dalle intenzioni. E, se considera le intenzioni, deduce le intenzioni pur sempre da come si svolgono i fatti.
Ora, il significato sociale di imbrattare il Volto di Gesù - con modalità che non rispecchiano certamente le rappresentazioni della Sua Santa Passione - coincide con una offesa a Dio, ai credenti e a tutti coloro che, anche senza la Fede, riconoscono le radici cristiane della civiltà in cui vivono.

Un banale esempio: se io assesto un pugno sul muso di qualcuno, nulla varrà a dire che non avevo l'intenzione di offendere, che si trattava di una mia modalità di fare una carezza. Conta il significato oggettivo del gesto.

Insomma, c'è una dimensione sociale della libertà di espressione che, giustamente, il diritto può e deve regolare.
Ciò è ben messo in evidenza da questo passaggio del comunicato della Diocesi di Milano, intervenuta sulla vicenda:

"invitiamo a considerare che la libertà di espressione, come ogni libertà, possiede sempre, oltre a quella personale, una imprescindibile valenza sociale. Questa deve essere tenuta particolarmente in conto da parte di chi dirige istituzioni di rilevanza pubblica, per evitare che un’esaltazione unilaterale della dimensione individuale della libertà di espressione conduca ad “tutti contro tutti” ideologico che divenga poi difficilmente governabile. Di questa dimensione sociale della libertà di espressione avrebbe pertanto potuto farsi carico più attentamente al momento della programmazione la direzione del Teatro"