giovedì 4 maggio 2017

La legge sul fine vita è una legge sull'eutanasia

Mio commento alla proposta di legge sul fine vita, pubblicato su Il Ticino, 28 aprile 2017, p. 2

La legge sul “fine vita” è una legge sull’eutanasia

Il 20 aprile la Camera ha approvato la proposta di legge sul “fine vita”, che ora passa al Senato. Se approvata in via definitiva, introdurrebbe in Italia il diritto di morire; il diritto di essere aiutati a morire; il diritto di uccidere minori e incapaci di intendere e di volere. E’ per questo che, soprattutto in ambito cattolico, giuristi, medici ed associazioni stanno costantemente denunciando la deriva eutanasica dei lavori parlamentari.
Il testo della proposta di legge prevede infatti che la persona abbia, non solo il diritto di rifiutare cure e terapie, ma anche di interromperle, pure in caso di conseguenze letali. A fronte di ciò, al medico sarebbe impedito di compiere il proprio dovere professionale. Davanti per es. all’ordine del paziente di interrompere una terapia salvavita, il medico non potrebbe agire secondo scienza e coscienza, ma sarebbe obbligato ad obbedire per non incorrere in conseguenze civili e penali. In qualche caso, peraltro, per interrompere una terapia salvavita sarebbe costretto a un intervento, dunque a un atto di eutanasia attiva (o commissiva), come togliere una flebo contenente un farmaco necessario alla sopravvivenza.
Ma vi sono altre gravi novità. La scelta del rifiuto o della interruzione potrebbero stabilirsi anche attraverso disposizioni anticipate di trattamento (DAT). Il paziente potrebbe dunque vincolare il medico per il futuro, magari ad anni di distanza. Il medico potrebbe disattendere le DAT solo in casi particolari e comunque con il consenso del fiduciario del paziente.
Ancora, la proposta di legge considera alimentazione e idratazione artificiali alla stessa stregua di terapie mediche. Dunque, il paziente avrebbe diritto di rifiutarle e interromperle, cioè il diritto di morire di fame e di sete, cui il medico non potrebbe opporsi.
Quanto a minori e incapaci, la loro sorte sarebbe nelle mani di genitori, magari esasperati dal dolore, e rappresentanti legali. A questi spetterebbe infatti decidere, in definitiva, se rifiutare o interrompere cure, terapie, idratazione e alimentazione. Solo qualora il medico si opponesse, un giudice potrebbe essere investito della questione e della decisione sulla sorte del soggetto.
Marco Ferraresi